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Giacomo Mazzariol e il coraggio di cambiare
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- Creato: Mercoledì, 20 Marzo 2019 10:33
È una domenica pomeriggio qualsiasi, in un parcheggio qualsiasi di Castelfranco Veneto, quando Giacomo e le sorelle Chiara e Alice ricevono dai genitori una notizia grandiosa: presto avranno un fratellino. Una nuova vita sarebbe iniziata per tutti con l’arrivo di un bambino speciale. E tutti sono subito al settimo cielo. Ma più di tutti il piccolo Giacomo, di cinque anni, che avrà un fratello con cui condividere giochi, corse in bicicletta, avventure, capriole, dispetti, gare, lotte e botte. Le sue aspettative sono tante, i progetti pure, la gioia immensa è tale da togliere il fiato, da voler rendere speciale il rapporto con quel tizio speciale scegliendogli lui stesso il nome: si chiamerà Giovanni.
E da qui inizia la storia di Giovanni detto Gio, raccontata dalla nascita fino ai dodici anni da suo fratello Giacomo, quando quest’ultimo è diciannovenne. Il libro autobiografico, quasi un diario, “Mio fratello rincorre i dinosauri”, ci racconta proprio questo: la vita di Giacomo e di Giovanni. Giovanni che gattona e Giacomo che cresce in fretta, Giovanni che ogni giorno è una scoperta nuova e Giacomo che entra nell’adolescenza, Giovanni che vuole sempre giocare e Giacomo che, prima si diverte con lui, ma poi qualcosa cambia quando va alle scuole medie. Là incontra nuovi amici, si appassiona alla musica, ma si guarda bene dal dire ai compagni del piccolo fratello affetto dalla sindrome di Down. Vive gli anni delle corse in bicicletta, della musica ad alto volume, dei poster appesi in camera, delle prime cotte, ma Giovanni rimane sullo sfondo perché per Giacomo la prima adolescenza è un periodo difficile, è un percorso faticoso e controvento, e il fratello minore è diventato un alieno ingombrante, troppo impegnativo e poco presentabile in pubblico con quei suoi occhi cinesi, la nuca piatta, la lingua fuori dalla bocca, il sorriso largo da un orecchio all’altro, la membrana che unisce le dita dei piedi. Meglio ignorarlo e tenerlo nascosto, gli amici non capirebbero, per loro lui sarebbe diventato “quello con il fratello Down”. Meglio evitare battute sceme e prese in giro. In questa fase di vergogna e di rifiuto della diversità, per anni Giacomo cercherà di proteggere sé stesso dai giudizi degli altri e solo a diciannove anni, dopo una lunga e graduale maturazione, arriverà a comprendere che non è Giovanni ad avere delle barriere, ma è il suo proprio modo di pensare a creargli gli ostacoli maggiori, quel modo di pensare di tanta gente che causa imbarazzi e pregiudizi, che etichetta, giudica e incasella, che guarda in faccia e mai dentro, mai davvero dentro. La società etichetta immediatamente chi viene ritenuto “normale” e chi ritenuto “anormale”: se non si è più che perfetti, la società scarta i più deboli. Sarà Davide, un altro ragazzo Down, ad aprire gli occhi a Giacomo. “Alle superiori mi dicevano mostro, idiota, handicappato, scimmia. Mi volevano male. Cominciai a ringraziare Dio di non avermi fatto così, come quelli che mi offendevano. A loro è andata peggio. Sono nati senza cuore”.
Giacomo ci arriva, finalmente ha il coraggio di cambiare il modo di vedere le cose: un’etichetta non fa una persona, un cromosoma in più o in meno non fa una persona. Quando infine, passate le medie e le superiori, riuscirà a far tabula rasa di quel ‘prima’, riuscirà a staccare le etichette dalle persone per guardarle senza filtri, percepirà e scoprirà finalmente il mondo in cui vive Giovanni e lo accetterà e lo abbraccerà con tutto il proprio essere. La vita è troppo breve per farsela condizionare dagli altri. Giò è un amico unico che sa tutto sui dinosauri, non ha paura di nulla, adora la musica e il ballo. Il suo mondo è di difficile comprensione, ma non ha confini. Basta voler attraversare la frontiera. Solo allora diventa facile e semplice vivere guardando all’altro senza filtri e pregiudizi. E da lì si snoda un sodalizio fatto di affetto e complicità, con la naturalezza e la spontaneità che sono i cardini e le fondamenta dell’amore fraterno. Giacomo ci arriva con le sue gambe, con la sua musica, con le voci dei Doors e degli Smith che faranno da colonna sonora ai pomeriggi trascorsi tra le domande e i dubbi irrisolti posti dalla mente e risolti dal cuore. Ci arriva perché il segreto è che Giovanni non è un fratello down, Giovanni è Giovanni. Giovanni è il fratello desiderato, il fratello più piccolo, il fratello con cui condividere la camera e molti giochi, il fratello che è felice quando gli si regala qualcosa che c’entri, anche solo vagamente, con i dinosauri, il fratello da amare come ogni cosa che la vita insperatamente ci regala. Giacomo avrà finalmente trovato per sempre ‘la quadra’ della sua vita con un fratello supereroe e figo come Gio.
È un libro emozionante e scanzonato, tenero e delicato, comico e coinvolgente, scritto con uno stile fresco, incalzante, pieno di humor, nonostante il tema sia molto serio. È un’analisi convinta e appassionata di quali siano le sensazioni, le emozioni e le difficoltà di chi in famiglia ha un componente affetto dalla sindrome di down. È la storia della famiglia Mazzariol che fa del sorriso la sua grande virtù. I genitori, le due sorelle e i due fratelli, li vorresti subito avere come vicini di casa. Un esempio di splendida famiglia, con un’esistenza dignitosa e tanta umanità, un esempio edificante, costruttivo e inclusivo. Ed è anche la storia di molte altre famiglie simili, che al loro interno hanno un ragazzo con la stessa sindrome: un cromosoma in più dentro al corpo, che lo rende speciale. Perché Giovanni detto Gio è speciale: felice, frizzante, affettuoso, affettuosissimo, spontaneo, socievole, vivace, pieno di vita, dolce, sorridente, gentile, astuto, un simpaticone “che fa ballare le piazze”, con i suoi tempi d’azione per imparare a vivere (per lui un’occupazione, qualsiasi occupazione, dura sempre venti minuti). Persone come Giovanni detto Gio possono insegnare agli altri molte più cose di quello che immaginiamo, con i loro sentimenti puri e senza maschere. Forse l’essenza del romanzo sta racchiusa in un’unica frase pronunciata dall’irresistibile ragazzino Down: “Loro ridono di noi perché siamo diversi e noi rideremo di loro perché sono tutti uguali”.
Quest’opera d’esordio è una lettura per qualsiasi età, c’è cosa imparare da questo Giacomo della generazione zeta, dona tantissimo a chi lo legge, perché fa ridere, commuovere e riflettere, perché ci ricorda che bisogna imparare a rieducare il proprio sguardo disabile per riuscire finalmente a vedere tutta la bellezza e l’amore che ogni essere vivente è in grado di ricevere e di dare. (di Nelida Milani Kruljac)
Pubblicato il Concorso «Istria Nobilissima»
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- Creato: Venerdì, 15 Marzo 2019 11:29
Anche quest’anno l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste hanno reso pubblico il Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”, alla sua 52.esima edizione. Il Premio viene promosso per promuovere e affermare la creatività artistica e culturale della Comunità Nazionale Italiana di Croazia e Slovenia e di diffonderla sul territorio del suo insediamento storico e su quello della sua Nazione Madre. I lavori partecipanti dovranno pervenire entro e non oltre il 19 aprile 2019 in formato digitale all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., a eccezione delle opere della Categoria “Arti visive” che dovranno pervenire all’Unione Italiana, via delle Pile 1/IV, 51000 Fiume (Croazia), per posta o consegnati a mano. Il Concorso si articola nelle seguenti Categorie e Sezioni: Categoria Letteratura – Premio Osvaldo Ramous (Sezioni: Poesia in lingua italiana, Poesia in uno dei dialetti della CBI, Prosa in lingua italiana, Prosa in uno dei dialetti della CNI, Saggi di argomento umanistico o scientifico), Categoria Teatro – Premio Raniero Brumini (Testi teatrali), Categoria Arti visive – Premio Romolo Venucci (Pittura, scultura, grafica, arte digitale e video, Design, arti applicate, illustrazione, Fotografia), Categoria Arte cinematografica, documentari e televisione (Arte cinematografica, documentari e televisione), Categoria Musica – Premio Luigi Dallapiccola (Composizione – coro e musica da camera, Esecuzione strumentale, vocale o corale), Categoria Cittadini residenti negli altri Paesi, di origine istriana, istro-quarnerina e dalmata attestata da un apposito documento (Prosa narrativa e poesia, anche in dialetto, su tematiche che interessano il mondo comune istriano, istro-quarnerino e dalmata, nella sua più ampia accezione culturale, umana e storica). A “Istria Nobilissima”, oltre ai cittadini maggiorenni, possono concorrere pure i minorenni (almeno 12 anni compiuti) che concorrono in ogni categoria per la menzione “Adelia Biasiol”. I concorrenti possono partecipare a una sola Categoria e Sezione di Concorso. Ad ogni sezione di Concorso possono venire assegnati un Primo premio di 1.500 €, un Secondo premio di 800 € e una Menzione onorevole di 200 €. Per ogni categoria può essere inoltre assegnata la menzione “Adelia Biasiol”, da 200 €, che premia il lavoro più meritevole tra quelli pervenuti dai concorrenti minorenni. Ai vincitori nella Categoria “Arti visive” sarà inoltre corrisposto, in aggiunta al valore del Primo, un Premio acquisto in denaro, che prevede la cessazione della proprietà dell’opera da parte del partecipante al Concorso e la relativa acquisizione da parte degli Enti promotori. Da non dimenticare la Categoria Giovani, in cui le modalità di partecipazione sono analoghe a quelle previste par le altre Sezioni e Categorie. Nell’ambito di ogni edizione del Concorso, la Commissione giudicatrice potrà proporre, a propria discrezione, un Premio promozione destinato all’autore di un’opera ritenuta particolarmente meritevole tra le Menzioni onorevoli assegnate ai Giovani. Il vincitore del Premio promozione verrà reso noto nel corso della cerimonia di conferimento dei premi, che sarà organizzata nei tempi e nelle modalità previste dagli Enti promotori. Una scelta delle opere in Concorso sarà raccolta e pubblicata come sempre in un’Antologia. Nell’ambito del Concorso “Istria Nobilissima” viene pubblicato pure il Concorso per il Premio giornalistico “Paolo Lettis”, per la migliore realizzazione nel settore giornalistico della Comunità Nazionale Italiana, in Croazia e in Slovenia. Il premio, a scadenza annuale, viene conferito per il miglior servizio, commento, articolo e altro genere giornalistico, trasmissione radio o televisiva, o per una serie di questi, pubblicati sui giornali, alla radio o alla televisione della Comunità Nazionale Italiana nel 2018, di particolare interesse e per l’affermazione sociale e professionale della categoria. Al Concorso possono partecipare tutti i giornalisti della Comunità Nazionale Italiana in Croazia e in Slovenia. Le proposte possono essere avanzate dai singoli giornalisti, dalle redazioni, dalle Istituzioni e da singoli appartenenti alla Comunità Nazionale Italiana (lettori, radio e telespettatori). La Commissione giudicatrice potrà assegnare anche un premio per l’attività professionale complessiva che abbia contribuito allo sviluppo e alla promozione della Comunità Nazionale Italiana. Il Premio giornalistico consta di 1.500 €, mentre il premio per l’attività professionale complessiva consta di 2.000 €. Per maggiori informazioni consultare il sito http:// unione-italiana.eu.
«Una vita in secca» tra mare e frontiera
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- Creato: Venerdì, 15 Marzo 2019 11:26
Il romanzo di Aljoša Curavić racconta un breve viaggio di un medico veneziano
È uscito da poco dalle stampe il nuovo volume di Aljoša Curavić “Una vita in secca” (Oltre Edizioni). Il romanzo racconta il breve viaggio di un medico veneziano, di origini istriane, sparito in un incidente aereo. Si tratta di un medico che ama la letteratura e approccia la scienza medica con spirito filosofico, come trapela dal suo diario romanzato che viene trovato fra le cartelle cliniche dei suoi pazienti e recapitato a un suo amico negli Stati Uniti. Lo sfondo della storia di Davide Santin, questo il nome dell’alter ego inventatosi dal medico, è la frontiera. Il mondo di Davide non può esistere senza la frontiera, così come non può esistere senza la morte. Ed è presente ovunque, a qualsiasi latitudine geografica o temporale, sia questa dentro una stravolta roccaforte di frontiera ex-jugoslava e ora slovena, che l’autore chiama Castello-Kaštel, o nelle paludi della Louisiana. Ma il vero filo conduttore del libro è l’acqua, o meglio il mare, che affascina fino all’ossessione il protagonista, con le sue maree e i disagi di chi vive l’attrito con il diverso, che caratterizza tutte le frontiere.
Aljoša Curavić, nato a Umago e laureato in Letteratura italiana contemporanea all’Università di Lettere di Firenze, per dieci anni è stato caporedattore del programma informativo di TV Capodistria, mentre attualmente è caporedattore responsabile del programma radiofonico per la CNI della RTV Slovenia, radio Capodistria. Al suo attivo numerose pubblicazioni di prosa e poesia, tra cui il saggio “Firenze a Trieste” (La Battana, 1988), il romanzo breve “Sindrome da frontiera. I ricordi di uno sconosciuto” (MEF Editore Firenze, 2003), tradotto in croato con il titolo “Granični sindrom” e pubblicato dalla Biblioteca di Pisino, e il romanzo “A occhi spenti”, pubblicato dall’EDIT (2006) entrambi vincitori di una menzione speciale al Concorso triestino “Scritture di frontiera”. E ancora il romanzo “Istriagog” (Besa Editrice/Salento books, 2013), il libro bilingue “Portami i fiori – Prinesi mi rože” (Libris e Biblioteca centrale di Capodistria), che raccoglie editoriali e commenti giornalistici scritti dall’autore in italiano e sloveno nell’arco di un decennio. La silloge “Silenziario” è stata premiata al Concorso d’Arte e Cultura Istria Nobilissima 2003.
Miljenko Jergović e gli scrittori croati si ribellano al curriculum per la lingua croata
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- Creato: Venerdì, 08 Febbraio 2019 13:56

La riforma curricolare è ancora nella sua fase sperimentale, almeno per quanto riguarda la prima tappa di questo complesso processo che dovrebbe riplasmare il sistema scolastico nazionale. Nonostante le modifiche non siano ancora state approvate e non si sappia esattamente come studieranno i nostri figli negli anni a venire, ogni tanto trapelano nei media dei dettagli a dir poco allarmanti.
La testata quotidiana “Jutarnji list” ha pubblicato recentemente il catalogo dei titoli da leggere per le letture domestiche e già questa rivelazione ha destato lo sdegno non solo degli insegnanti ma persino della Società croata degli scrittori, che ha reagito con una lettera aperta al Ministero della scienza e dell’istruzione.
Il problema sta non soltanto nella lista di opere letterarie da proporre agli alunni, ma soprattutto nel mancato inserimento di autori contemporanei, lasciati alla discrezione del docente. Il curriculum per la lingua croata, che dovrebbe venire applicato a partire dall’anno accademico 2019/2020 non prevede lo studio e la lettura di nessun autore contemporaneo né croato né internazionale. Il ministro Blaženka Divjak ha dichiarato di non sapere il nome dell’autore o degli autori di suddetto curriculum, ma che il documento è stato approvato e verrà applicato, come previsto.
Le letture guidate avrebbero dovuto, dunque, subire un ammodernamento in modo da renderle più appetibili ai ragazzi, proponendo temi di attualità in un linguaggio più consono a loro, ma resteranno un compendio di oscuri classici spesso associati a lunghe, noiose e incomprensibili letture, oppure a riassunti scaricati da Internet. La Società croata degli scrittori ha aggiunto pure che in questo modo non si plasmano i lettori del futuro, come si diceva sarebbe stato fatto, bensì si allontanano i giovani dalle opere letterarie, reputate ostiche e poco interessanti.
L’argomento che prevede la scelta di autori contemporanei da parte dei docenti è, secondo gli autori stessi, infondato. Gli insegnanti preferiscono attenersi ai documenti ufficiali proponendo opere verificate e non lasciano molta libertà di scelta nemmeno agli studenti.
Nessuna versione del curriculum, dunque, prevede un vero incoraggiamento alla lettura, come era stato fissato il 2 novembre del 2017 con la firma della Strategia di motivazione alla lettura da parte del Governo croato. Tutte le modifiche al curriculum tendono a mantenere lo status quo, oppure a introdurre titoli obsoleti, quasi a voler minare ogni tentativo di modernità.
Pure lo scrittore Miljenko Jergović ha criticato il curriculum per la lingua croata spiegando che il piano ha portato la materia indietro di almeno 50 anni. Jergović ha aggiunto che lui stesso, più di 40 anni fa, durante l’istruzione elementare, media e media superiore nell’ex Jugoslavia studiò autori come Branko Ćopić, Ahmed Hromadžić, Ivan Kušan, Miroslav Antić, Anđelko Vuletić, Zvonimir Balog, Anđelka Martić, Oskar Davičo, Mihailo Lalić, Ranko Marinković, Anđelko Vuletić, Jure Kaštelan, ma pure autori di fama mondiale come Marquez (“Cento anni di solitudine”), Grass (“Il tamburo di latta”), Golding (“Il signore delle mosche”) e tanti altri, che per i nostri tempi potrebbero venire considerati superati.
La lista pubblicata qualche giorno fa, invece, non prevede alcun libro scritto nel nuovo millennio (e ormai sono quasi 20 anni di letteratura!), né per la scuola elementare, né per quella media o media superiore, mentre per quanto riguarda il XX secolo i titoli scarseggiano, soprattutto per la seconda metà del secolo. Se non fosse per Miro Gavran, Pavle Pavličić e Danijel Dragojević, potremmo dire che Blaženka Divjak ha servito ai nostri figli e nipoti un catalogo delle opere letterarie partendo dalla Bibbia e arrivando all’epoca dei nostri bisnonni. Tutti, dunque, autori non più in vita.
Jergović rinfaccia agli autori del curriculum pure la mancanza di scrittori serbi, bosniaci, sloveni o ungheresi, ma si prevede lo studio della Bibbia, anche se rientra già nel curriculum di religione. Anche se la letteratura croata non può vantare nemmeno un Nobel, la lista degli autori da proporre ai ragazzi sarebbe potuta essere molto più moderna e interessante e non una rassegna del folklore come in questo caso, conclude amareggiato Jergović.
La soluzione al problema sarebbe, secondo fonti ufficiose dal Ministero, per gli insegnanti di scegliere autori contemporanei anche senza delle linee guida ufficiali e nonostante gli autori recenti siano non valutati e non canonizzati. I docenti, dunque, dovranno occuparsi pure di critica letteraria e storia della letteratura per poter proporre testi adatti ai ragazzi e potrebbe succedere che sui banchi di scuola si trovino libri di Nives Celzijus (che ottenne pure il premio Kiklop per il romanzo più venduto!) oppure Kim Kardashian.
Nell’attesa di veder applicato il nuovo curriculum, confidiamo negli splendidi progetti lanciati dalla Biblioteca civica e indirizzati ai ragazzi in età scolare, ma anche ai bimbi dell’asilo.
"L'Arminuta" e "Una storia istriana", esiti diversi di una condizione esistenziale affine
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- Creato: Lunedì, 21 Gennaio 2019 10:30

“L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio, è un romanzo pubblicato da Einaudi e vincitore del Premio Campiello nel 2017. Il romanzo, ambientato negli anni ‘70 in un Abruzzo luminoso e dolente, pone al centro del plot una ragazzina di tredici anni che tutti chiamano l’Arminuta, la quale da un giorno all’altro scopre di non essere la figlia delle persone con cui è cresciuta e viene restituita alla sua famiglia naturale. Il libro inizia proprio con il ritorno della protagonista alla casa natia, per lei sconosciuta, perché i suoi presunti genitori – che erano in effetti gli zii – erano andati a vivere a qualche ora di distanza dalla famiglia naturale della bimba ed i contatti si erano sfilacciati fino a essere quasi del tutto scomparsi. Cosa se non la miseria aveva spinto una madre con sette bocche da sfamare a cedere la creatura di sei mesi ad un’altra donna? E cosa aveva spinto questa seconda madre ad accogliere la neonata, crescerla, accudirla, educarla e poi restituirla al mittente? Una spiegazione c’è e verrà fornita, quasi per sbaglio, dalla sorellina Adriana nel corso di una narrazione fatta di sentimenti ed emozioni che toccano corde profonde.
Orfana, dunque, di due madri viventi, l’Arminuta narra in prima persona la sua vita. Non sapremo mai il suo vero nome, nel libro lei sarà solo l’Arminuta, che nel dialetto abruzzese significa la Ritornata, la Restituita: un nome implica che si è un individuo, lei invece per tutti i suoi genitori è stata solamente un pacco postale. Cambiando paese, la ragazzina ha perso una casa confortevole in riva al mare, una vita agiata piena di coccole e di privilegi, un’educazione perfetta, una cameretta con i poster, la danza, il nuoto, le vacanze al mare, le amiche del cuore, oltre che l’amore incondizionato di una famiglia senza prole alla quale era stata “ceduta” o forse “venduta” ancora lattante. Uno scambio che non era così inconsueto in certi pezzetti d’Italia arretrata, e nemmeno sul territorio istriano. Le storie degli altri possono essere simili alle nostre. Ne dà testimonianza il romanzo di Diego Zandel “Una storia istriana” (Edit, Fiume 2009) che, ispirandosi ad un fatto accaduto nell’Albonese, narra la storia tragica di Ludwig che, essendo stato venduto dai suoi genitori agli zii, nella disperata quanto vana ricerca di recuperare i genitori biologici o un altro punto di riferimento e non trovando che villania e ostilità presso la matrigna, soffocato in un mondo chiuso e superstizioso, di fronte all’incapacità di rassegnarsi, si suicida. Laura Marchig ha sentito il bisogno di rivivere questa storia istriana facendone la riduzione teatrale con la quale ha conseguito il secondo premio all’ultima edizione di Istria Nobilissima. (N.d.e. Il romanzo "Una storia istriana" fa parte della collana "Richiami" dedicata agli autori italiani originari dell'Istria , Fiume e Dalmazia, ed è disponibile su richiesta).
L’Arminuta, nel brusco passaggio alla famiglia originaria, si ritrova catapultata in un contesto rurale primitivo, arcaico e aberrante, in una casa piccola e buia dove regnano disordine, sporcizia e miseria, scarsità di cibo, un dialetto incomprensibile, una masnada di fratelli, e dei genitori che con i figli hanno un comportamento completamente diverso da quello degli zii. È un mondo che non le appartiene, che non conosce e che non ha niente a che vedere con il suo, in un ambiente povero di denaro e di sentimenti, in uno stanzone dove tutti dormono insieme, accanto ad una donna che lei non riuscirà mai a chiamare mamma. È costretta a dormire nella stessa camera dei suoi quattro fratelli, lei giovane adolescente nel pieno dello sviluppo, in un letto condiviso con la sorella minore Adriana. Con un nuovo fratello, Vincenzo, che la guarda smaliziato come fosse già una donna, inizia per lei il tempo della vergogna e della perdita dell’innocenza; vivrà sentimenti e momenti ambigui, non adeguati a dei fratelli, ma che sono naturali in un ambiente in balia dell’indigenza, dell’ignoranza e dell’altrui volontà.
E sarà per la tredicenne un doppio trauma.
Da una parte una maternità innaturale nel rapporto tra chi dà la vita e chi la riceve: madre e figlia sono due estranee che vivono sotto lo stesso tetto. Ma il rapporto s’incrina anche con l’altra donna, perché la ragazza non riesce più a riconoscere sua madre nemmeno in colei che, di punto in bianco, l’ha restituita senza spiegazioni come un oggetto usa e getta.
Non tutti i bambini e gli adolescenti hanno la stessa resilienza, la stessa capacità di assorbire un forte urto senza rompersi. Il Ludwig di Zandel non ce l’ha e soccombe. L’Arminuta, invece, ce l’ha e ce la fa. Ce la fa grazie alla sorellina selvaggia Adriana, che dal primo sguardo di reciproca empatia, l’aiuta a vivere e a difendersi dalla lordura e con la quale condivide i momenti più intimi. È lei che la salverà dalla sua discesa agli inferi e le trasmetterà l’energia necessaria per affrontare le dure prove della vita e riscattarsi per un nuovo equilibrio.
Nel romanzo, tutte le figure genitoriali escono sconfitte dalla storia, così come succede ai bambini abbandonati o ridotti a merce di scambio e ricatto tra genitori nella vita reale. Gli adulti scelgono in base al loro egoismo e i bambini subiscono, ma tutti insieme ingrossano le file dei vinti. Non tutti ma tanti ragazzi ne pagano le conseguenze con una sofferenza esistenziale che è dura a morire.
Nelida Milani Kruljac
Schittar e Milinovich due fiumani d.o.c.
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- Creato: Mercoledì, 05 Dicembre 2018 12:11

FIUME | Presentate ieri nella Comunità degli Italiani due nuove pubblicazioni della casa editrice Edit nella collana “Altre lettere italiane”: “Rime de Fiume” di Mario Schittar, noto anche come Zuane de la Marsecchia, e “Joze fiumane” di Egidio Milinovich. Con i due volumi, l’Edit ha dato un contributo importante alla riaffermazione del valore del dialetto fiumano attraverso due sillogi poetiche emblematiche per i due verseggiatori, assolutamente antitetici per quanto riguarda la loro condizione, il periodo storico e la preparazione letteraria e scolastica. Le due raccolte di versi sono state pubblicate con il sostegno del Consiglio per le minoranze nazionali della Repubblica di Croazia, un’operazione importante per trasmettere alle odierne e future generazioni la testimonianza di una Fiume che non c’è più, ma anche di un linguaggio già dialettale che negli ultimi decenni si è evoluto, è cambiato e, purtroppo, viene usato sempre meno.
Entrambi i libri erano a disposizione del pubblico, da sfogliare e acquistare a un prezzo di favore (69 kune). Chi non l’avesse fatto ieri, potrà acquistarli alla cartolibreria dell’Edit a 89 kune. A presentare i due volumi sono state le autrici delle introduzioni, Kristina Blecich (Joze fiumane) e Martina Sanković-Ivančić (Rime de Fiume).
Come noto, Mario Schittar ha vissuto alla fine dell’Ottocento ed è il primo poeta fiumano in assoluto ad avere pubblicato i suoi versi dialettali. Era borsista cittadino e studente della prestigiosa Accademia di Belle Arti di Venezia, mentre Egidio Milinovich era operaio del Silurificio e della Manifattura tabacchi. Entrambi, però, sono nati e sono vissuti nella Zitavecia de Fiume, uno in Marsecia e l’altro in Barbacan, portando in seno un grande amore sia per la città che per il dialetto fiumano.
Dopo il saluto della presidente della CI, Melita Sciucca, che ha rilevato l’impegno del sodalizio a mantenere e a rendere ancora più stretta la collaborazione con le istituzioni della CNI, tre cui l’Edit e il Dipartimento di Italianistica presso la Facoltà di filosofia di Fiume, ai presenti si è rivolta Stella Defranza, curatrice delle “Rime Fiumane”, la quale ha spiegato che nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, il 97,5 percento degli italiani parlava in dialetto. Cent’anni dopo, questa percentuale era pari al 63 p.c. mentre nel 1997 è precipitata al 6 p.c., stando ai dati statistici. “Abbiamo deciso di dedicare queste due edizioni a coloro che hanno dato voce al fiumano medio”, ha rilevato Defranza, aggiungendo che il dialetto parlato da Schittar e da Milinovich non esiste più, in quanto è stato “contaminato” da vocaboli uniformati all’italiano.
Martina Sanković Ivančić, ha illustrato l’opera di Mario Schittar, definendolo come uno dei più grandi autori di Fiume. La sua famiglia giunse nel capoluogo quarnerino nel ‘500 dall’Albania, mentre Mario nacque nel 1862, nella Calle della Marsecia. “Amava frequentare la gente schietta del popolo e sarà proprio in questi ambienti che traccerà la sua immagine degli abitanti di Fiume”, ha precisato la relatrice, la quale ha analizzato poi la commedia “El trionfo de San Micciel”, dalle cui pagine, ha sottolineato, emerge la figura della tipica donna fiumana, energica e intraprendente. Nella commedia tratta temi di cronaca e propone un quadro della vita quotidiana dell’epoca, ma anche una critica della società. Descrive pure un altro aspetto cruciale della vita fiumana: la magia e la superstizione. Nel 1878 Schittar scrisse il suo “Inno Marsecian”. “Nella silloge ‘I sfoghi del cor’, il poeta presenta una serie di interiori riferimenti all’amore, soprattutto quello folle per Cate, che vorrebbe sposare”, ha rilevato la relatrice, concludendo che Schittar traccia un quadro dell’animo della città attraverso le abitudini, le canzoni e le tradizioni.
Kristina Blecich ha illustrato il personaggio di Egidio Milinovich, nato nel quartiere di Barbacan nel 1903, le cui poesie nacquero negli ultimi vent’anni della sua vita (tra il 1960 e il 1981). “Nei suoi versi egli parla della sua famiglia, di momenti di intimità, del rapporto con la moglie e via dicendo. Le sue rime sono schiette ma ci sono vicine e parlano direttamente al nostro cuore – ha dichiarato Kristina Blecich –. Milinovich fu uno dei soci più attivi della CI fiumana, fondatore del coro Fratellanza. Terminò le Scuole industriali, trascorse un periodo della vita a navigare, ma ciò non lo rendeva felice, per cui trovò lavoro nella Fabbrica tabacchi e nel Silurificio. Inizia a scrivere per diletto, per ricordare la Fiume di una volta. Le sue poesie sono intimistiche, un dialogo con sé stesso, una testimonianza diretta e genuina della vita fiumana”, ha puntualizzato la relatrice, aggiungendo che con le sue poesie Milinovich ha voluto fare un omaggio alla sua città, soprattutto alla Cittavecchia.
Alla serata sono intervenuti anche i liceali Patrik Poljak, Michela Koraca e Alice Tabellini, che hanno recitato alcune poesie dei due autori.